L’umanesimo delle origini

 

 

«Per l’umanesimo delle origini è e rimane fondamentale il fatto che ‘pensiero’ ed ‘essere’ sono ancora indissolubilmente connessi e uniti. In Parmenide, per esempio, pensare (noein) ed essere (einai) formano un’identità a conferma che il ‘logos’ originario o aurorale non aveva compiuto nessuna rottura tra essere e pensiero, per cui quest’ultimo nemmeno poteva reclamare una sua superiorità nei confronti del primo. Come fa rilevare soprattutto Heidegger, il ‘logos delle origini’ esprime ancora il ‘cogliere’/’raccogliere’ le cose nel loro (lasciar-) ‘essere’, per come, appunto, la ‘physis’ le rende manifeste o ‘le fa stare alla luce’. Nel ‘logos’ originario dimora quel tipo di essere che chiama ancora all’ ‘ascolto’, proprio in quanto ‘logos’ che, come faceva rilevare Parmenide, ha qualcosa da ‘dirci’. E ha qualcosa da dirci poiché la ‘casa dell’essere’ è nel ‘logos’ stesso (che di questa casa è dimora) e non nella ‘volontà’ o ‘ratio’ dell’uomo. Se il dire del ‘logos’ è lo ‘stare alla luce’, ciò vale e dovrebbe valere non meno per il ‘sostare’ fuori dal buio dell’essere di quell’ente che chiamiamo uomo. Per trovarsi o ritrovarsi, l’ente-uomo non ha altra dimora che questa ‘casa’ (dell’essere), l’unica casa che può accoglierlo, tenerlo raccolto e rimetterlo in ascolto dell’essere» (Michele Borrelli, Nuovo umanesimo o nichilismo. Grandezza e miseria dell’Occidente, Asterios, Trieste 2017, pp. 24-25).