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La pedagogia critica o la critica in pedagogia

nel pensiero di Michele Borrelli

 Prof. Michele Borrelli

 

La critica non è necessariamente, o di per sé, uno strumento di conoscenza e verità, piuttosto solo un mezzo ipotetico di pensiero e di ricerca, che rivela un doppio carattere e che può essere usato, quindi, sia in senso dogmatico sia in senso utopico. Come dogmatica, la critica è sempre legata a una determinata posizione; come utopia, la critica si oppone a ogni sostanzializzazione. Ciò rinvia a una paradossalità alla quale non possono sottrarsi neppure l’educazione e la formazione: al dogmatismo inaggirabile di una critica legata a una determinata posizione, educazione e formazione contrappongono la non-definitività e apertura del pensare e dell’agire umani. Al centro del pedagogico è da porsi non la dogmatizzazione ma l’utopizzazione della critica. Quest’ultima cerca di proteggere la critica da ogni assolutizzazione e privatizzazione e di difenderla, tra l’altro, anche contro se stessa.

La criticità del pedagogico si rapporta, non da ultimo, al concetto stesso di pedagogia, ossia alla possibilità e necessità di una sua proiezione nel futuro indefinibile e utopico. Pertanto, il concetto di critica sottostà alla legge di ciò che esso stesso critica. La critica non esclude, quindi, interpretazioni contrarie e rimane tale nella sua funzione, fino a quando non sostanzializza il senso storico; in questo caso, però, subentra al criticato sostituendolo solo dogmaticamente con un altro senso. Vale lo stesso per miti come la società, l’umanità, la libertà, l’autonomia, il soggetto, l’educazione, l’autoeducazione, la formazione e simili. La loro forza è sorretta dalla concettualizzazione controfattuale. Nel momento in cui sono ridotti a essenze storico-sostanziali, non sono più concetti aperti, ma solo dogmi, anche se possono avere contenuti diversi, forse anche contrari e contraddittori rispetto ad altri. Come critica sostanzializzata essa non è mai formale, ma sempre retta da contenuti. Essa è, sempre e al tempo stesso, di posizione, cioè legata a determinate premesse e, come tale, non può fare a meno di una determinata dogmatica di partenza.

Senza la paradossalità secondo cui la critica è rivolta sempre contro le sostanzializzazioni del contingente e che, tuttavia, essa stessa non può fare a meno di ogni sostanzializzazione contingente per essere tale (col che dovrebbe autointendersi come ricerca continua di lavoro al concetto), la critica sarebbe senza alcun senso. Il senso della critica in pedagogia è legato, dunque, alla consapevolezza del riconoscere che essa non è senza premesse. La penetrazione di questa struttura che precede la critica apre lo sguardo al fatto che la critica si pone al contempo e sempre in ottica critica e non critica.

Lo stesso credere alla possibilità di un pensiero libero da ogni metafisica e da ogni posizione non avrebbe possibilità di articolazione senza una dogmatica di partenza, ma sarebbe altamente sospetta nel suo antidogmatismo di seguire dogmi senza farli oggetto di riflessione (cfr. Adorno: Wozu noch Philosophie?). L’ammissione di un resto inaggirabile di dogmatica, senza il quale la critica non sarebbe possibile, è ricco di conseguenze per il chiarimento di ciò che bisogna intendere con critica in pedagogia e pedagogia critica. Fa parte dell’autoevidenza di quest’ultima che la critica non solo non è possibile senza nessun resto di dogmatica, ma che essa senza questo resto sarebbe anche senza senso; che le dogmatiche, invece di escludere a loro volta la critica per definitionem, non devono necessariamente essere insensate, piuttosto possono provocare nuove forme di critica e, mediate attraverso queste, favorire il sorgere di nuove utopie.

 

Il rapporto tra fattualità (contingenza) e concetto (utopia) in pedagogia


Come passato e presente dimostrano, la pedagogia si può concepire sia in senso critico, scettico, rivoluzionario, ma anche in senso affermativo o, addirittura, reazionario. A volte essa conferma la sua contingenza storica, definendosi tautologicamente in rinvio alla consuetudine, a istituzioni determinate, alla logica di uno specifico dominio politico; a volte si pone in contraddizione alle forme di socializzazione che l’accompagnano pragmaticamente nella contigenza degli ordinamenti e delle norme sociali. In base alla dimensione dell’utopicità che co-costituisce il concetto, la pedagogia si contrappone a ogni sua riduzione empirica e contingente. Paradossalmente, l’altra dimensione del concetto: la contingenza, esige che, senza riduzioni sul piano storico-pragmatico, la pedagogia non ha possibilità di sopravvivenza. Questo è il motivo fondamentale in base al quale in pedagogia sono presenti, al tempo stesso e con analogo grado di legittimità e di pretesa fondazionale o critica, l’una accanto all’altra, strutture antinomiche e dispute senza limiti.

Alcune di queste antinomie strutturali:

-         Obbligata all’autonomia e all’emancipazione dell’individuo, appartiene ai compiti della pedagogia (come proposta educazionale) sottrarre l’individuo all’(auto)eteronomia che – il paradosso vuole – la stessa pedagogia de facto in lui produce e riproduce attraverso un determinato modello di contingenza o di socializzazione. Ciò preannuncia già la prima dimensione del contrasto inaggirabile tra utopia e fattualità o contingenza;

-         Orientata alla totalità della società e non solo all’individuo, deve preparare i singoli a formare se stessi (autonomia e partecipazione sono termini abituali del lessico pedagogico) e non ad essere formati. In ciò consiste la seconda dimensione inaggirabile del contrasto tra utopia e contingenza.

-         Obbligata al postulato della libertà (dell’individuo), la pedagogia deve liberare il singolo dalla sua libertà eteronomamente normizzata. Si nota qui una terza dimensione inaggirabile del contrasto tra utopia e contingenza.

 

Da angolazione pedagogica, libertà è il liberarsi dell’uomo a se stesso. L’utopicità del concetto è in contraddizione con la sua costitutività sociale e fattualità contingente. Appartiene alla paradossalità della libertà, che il suo concetto e la sua realtà sono come linee parallele, talché esso è mediabile solo in prospettiva utopica. Solo in quest’ottica la conciliazione delle due linee parallele è legittima o almeno pensabile. Il senso della libertà, rimane, a ben vedere, sempre utopico; non diventa mai realtà. Ma questo senso utopico non è, però, affatto senza senso. Non a caso, pedagogicamente, si mostra libero chi è a conoscenza dell’illibertà del liberare e cerca di liberarsi anche di essa. Vale altrettanto per tutti gli altri concetti di connotazione e interpretazione pedagogiche. Tre esempi valgano a dimostrarlo:

-         Umanizzazione è un concetto antinomico. Essere sottomessi a essa non è umano ed è in contraddizione con la libertà. Quale pretesa utopica, l’idea di umanizzazione si pone come obiettivo di liberare a se stessi una dignità che non ha bisogno di costrizione perché non imposta eteronomamente. Come tale si contrappone all’umanizzazione come costrizione nel senso proposto da Kant. Nell’umanizzazione in senso utopico, l’uomo è soggetto e non oggetto dell’educazione. Appartiene alla paradossalità dell’umanizzazione, cercare in essa quello che non c’è: l’autoumanizzazione dell’uomo.

-         Autoeducazione. Procede in ogni singolo in modo antinomico. Il singolo dovrebbe educare il suo Sé che ha bisogno di educazione per essere tale, ma se il Sé ha bisogno di educazione entra in gioco l’eteronomia, ossia l’antinomia di Sé e l’altro da Sé; in tale processo, l’educazione risulterebbe dispensata e, al tempo stesso, indispensabile. Com’è facile notare l’educazione, nell’interpretazione pedagogica di autoeducazione, risulta altrettanto paradossale e utopica come i concetti di umanizzazione e libertà.

-         Un’ulteriore paradossalità si riscontra nel concetto di società. L’educazione si avvera nella società; educa attraverso questa e non contro di essa. Però, una società che educa non ha bisogno di educatori. Ma come osserva Marx, la società è educata a educare? Considerata in prospettiva sociale, ogni educazione è socializzazione contingente, ossia tautologia per definitionem. L’educazione critica, aveva inteso se stessa, non a caso, come quell’istanza di riflessione che porta alla conoscenza dell’educando le condizioni e le determinanti di socializzazione e acculturazione, prima ancora che egli abbia la possibilità di rendersene conto. Questa consapevolezza procede in un regresso infinito. Appartiene all’educazione permanente non solo il continuo ripensarsi in termini di futuro, ma anche, e soprattutto, il rientrare dell’autocoscienza nelle condizioni contraddittorie e paradossali del suo esser-se-stessa. Nell’autocoscienza ritrovata e ripensata il soggetto risoggettiva utopicamente la sua riduzione contingente a oggetto di educazione attraverso l’educazione. La coscienza sperimenta la sua eteronomia, ma non si porta oltre questa.

Come autoeducazione utopica (per sé un paradosso), l’educazione premette il suo opposto: l’antinomia, il liberarsi, cioè, dalla prigionia della socializzazione cui né la società né il singolo soggetto sono capaci. Il soggetto dell’educazione rimane, allora, la società. Ne consegue un ulteriore paradosso. La società oggettiva il soggetto e diventa essa stessa un soggetto oggettivato che, come tale, corrisponde all’oggettivazione dell’individuo che oggettivamente è diventato la sua vittima (cfr. Adorno: Negative Dialektik, Jargon der Eigentlichkeit). Società, soggetto e individuo si mostrano concettualmente una necessità utopica, sul piano della contingenza storica sono, però, tautologie.

 

Estratti dal saggio di Michele Borrelli, «L’utopizzazione della critica. La pedagogia nel rapporto di tensione tra l’utopicità del concetto e la fattualità della contingenza», in Idem (a cura di/ed.), Pedagogia critica, Pellegrini, Cosenza 2004, pp. 211-232; anche in versione tedesca/also in german version: «Utopisierung von Kritik. Pädagogik im Spannungsverhältnis von utopischem Begriff und kontingenter Faktizität», in D. Benner, M. Borrelli, F. Heyting e C. Winch (hrsg./ed.), Kritik in der Pädagogik. Versuche über das Kritische in Erziehung und Erziehungswissenschaft, ‘Zeitschrift für Pädagogik’, n.46, Weinheim: Beltz 2003, pp. 142-154; e in versione inglese/ also available in english: «The Utopianisation of Critique: the Tension between Education Conceived as a Utopian Concept and as one Grounded in Empirical Reality», in F. Heyting, C. Winch (edited by), Conformism and Critique in Liberal Society, ‘Journal of Philosophy of Education’, Vol. 38, Issue 3, Oxford: Blackwell Publishing Incorporated. 2005, pp. 441-454.