A Max Horkheimer e
Theodor W. Adorno.
L’Illuminismo che non
c’è
Presentazione di
Antonio D'Elia,
Pellegrini Editore,
2008, pagine 81, Euro
8,00, ISBN:
978-88-8101-491-0
L’esercizio (preparazione)
del declinare il
nome dell’essere
in un moto
continuo e
costante del
pensiero impone
al poeta, che si
ri-annuncia come
indagatore dei
luoghi del
silenzio e della
situazione
(l’essere - il
nulla -
l’esistere - il
permanere
dell’esserci)
nella condizione
(l’esistente)
del qui (il
tempo e i suoi
soggiorni), di
estrarre la voce
dell’io,
que habla de
dentro,
dalla Domanda
stessa, «Dimmi»
(Il
senso del nulla),
che lo spinge
simultaneamente
a dichiarare
l’urgenza
dell’«angoscia/dell’attimo
fuggente»,
porgendola alla
“presenza” della
volontà
lacerante, non
come attributo
dell’anima ma
come
testimonianza
della cesura tra
atto dianoetico
e vita.
Il centro focale
delle liriche si
installa sul
rapporto tra
Ragione e
degenerazione
della Ragione,
tra
mistificazione
del linguaggio e
linguaggio come
garante di una
percezione dei
sentieri del
divenire.
Storia personale
e storia
comunitaria si
ricollegano in
quel disordine
dei pensieri che
la poesia non
vuole regolare
ma unificare
come grido di
annuncio e di
vendetta dell’io
verso la propria
essenza.
La poesia si
erge e si
discosta dal
confutare
teorie, pur
leggendole nelle
modalità di una
considerazione
(comprensione)
tendente a
mettersi in gara
con il presente
inconsistente,
ed è sempre
attenta nel
prendere sul
serio il tempo,
dunque l’uomo.
L’atto di fede
del poeta verso
la
“ripensabilità”
sull’ente crea
una vera e
propria
riscoperta («in
attesa»,
Il silenzio
delle stelle)
della
riflessione, che
diventa
apophansis (comemodalità
originaria):
“nuova”
categoria del
raccontare.