Recensione a
"Fratelli di sangue"
Per una Calabria libera dalla 'ndrangheta
di Francesca Caputo
Cosa Nostra − famosa da quando Mario Puzo,
newyorkese di origini siciliane, scrisse “Il padrino” nel 1969 − non è
ormai l’organizzazione criminale numero uno in Italia.
Nel dicembre 2006 esce, per Pellegrini
Editore, nella collana Mafie, il libro “Fratelli di sangue”, scritto da Nicola Gratteri e
Antonio Nicaso, che in poco tempo diventa un grande successo editoriale,
attualmente alla sesta edizione.
Il libro si propone
come un’autorevole sintesi delle conoscenze attuali nel merito del
fenomeno criminale calabrese. La verità stampata nera su carta è
agghiacciante: la ‘ndrangheta calabrese si è trasformata
nell’associazione criminale più potente e feroce del Paese, con
ramificazioni internazionali che includono forti rapporti coi cartelli
di droga colombiani
.
Questo lavoro rappresenta
il frutto dell’interazione fra due
specialisti che possiedono rigorose conoscenze nell’ambito del settore
di studio del crimine organizzato: l’uno con una esperienza maturata
nell’ambito del contrasto al crimine organizzato; l’altro con una
formazione specialistica in antropologia e sociologia criminale.
Nicola Gratteri è un magistrato in prima
linea nella lotta contro la mafia. Sostituto Procuratore della
Repubblica di Reggio Calabria, è uomo di punta della direzione antimafia
di questa bella ma pericolosissima città, costretto a vivere, a causa
del lavoro che svolge, blindato e sotto scorta. La ‘ndrangheta,
anche di
recente, aveva progettato contro di lui un attentato. Stimato e apprezzato in tutto il mondo,
scrive con la lucidità ed il trasporto di chi dirige pesantissime indagini contro la ‘ndrangheta in diversi paesi europei e
d’oltreoceano, operazioni investigative riportate dai
giornali di tutto il mondo.
Antonio Nicaso,
canadese di origine calabrese, giornalista, scrittore, professore
universitario, è fra i maggiori esperti mondiali nel settore di studio
del crimine organizzato. Ha pubblicato decine di libri su aspetti di questo problema in Italia e
nel mondo, tra cui Rocco Perri: The Story of Canada's Most Notorius
Bootlegger; Io e la mafia: le verità di Giulio Andreotti; e, insieme
al giornalista e scrittore Lee Lamothe, diversi lavori, tra cui Bloodlines: The Rise and
Fall of the Mafia's Royal Family (in Francia: Les liens du sang) e
Global Mafia: the new world order of organized crime, tradotto in francese, indonesiano e olandese.
L’opera di Gratteri e Nicaso,
oltre a configurarsi come occasione per attingere a documenti
investigativi, atti
giudiziari e relazioni parlamentari, che fanno luce sui percorsi
criminali della ‘ndrangheta calabrese dalle sue origini ad oggi,
risultando molto utile anche per gli specialisti, ha il merito di
riportare l’attenzione alla lotta contro la mafia.
La lotta contro la mafia è un terreno
essenziale per l'educazione alla legalità. Per diffondere, soprattutto
tra i più giovani, una cultura della legalità e far maturare coscienza
civica critica e partecipata, la linea scelta dagli autori è
quella di immergere il lettore nella verità documentata dei fatti.
Lo stile,
di vero e genuino taglio giornalistico e documentario, basato, tra l'altro, su
inchieste poliziesche, non si colloca tra il
fittizio e il fattuale come nel “Padrino” di Puzo, ma si
riporta strettamente alla realtà fattuale con riferimento alle fonti incontrovertibili di
quanto viene esposto.
Il libro riporta testimonianze e fatti che
colpiscono allo stomaco il lettore, soprattutto il lettore calabrese.
La terribile verità, radiografata da cima a
piedi dagli autorevoli autori (confermata da diverse relazioni del
Ministero dell’Interno italiano, della Commissione parlamentare
antimafia fino al Parlamento europeo e dalla stampa specializzata di
tutto il mondo), è che la ‘ndrangheta calabrese ha preso piede in
modo colossale (e, per ciò stesso, è lecito che scateni un'estrema
preoccupazione), trasformandosi nel giro di un decennio in una holding
del crimine che gestisce tonnellate di cocaina in tutto il mondo.
La Commissione d’inchiesta sulla droga e sul crimine organizzato del
Parlamento europeo l’ha definita «l’organizzazione più segreta e
sanguinaria», mettendo in evidenza il processo di estensione dei suoi
traffici in tutta Europa e nel resto del mondo. Ci troviamo
improvvisamente − ma neppure troppo improvvisamente − di fronte ad
un problema di dimensioni mondiali, anche se il centro di gestione e
comando è in una delle regioni italiane socialmente ed
economicamente più deboli.
Gratteri e Nicaso descrivono nei dettagli
l’escalation di questa fortissima organizzazione criminale ed il suo
ruolo di supremazia rispetto a Cosa Nostra, denunciando la
sottovalutazione di un problema divenuto una drammatica emergenza del
nostro Paese.
La Calabria sta sfuggendo al controllo
della legalità, nel senso che il fenomeno ‘ndrangheta ha creato ormai
in essa la sua “legalità”, il suo Stato.
“In Calabria, − come spiegano gli autori −
questa potente organizzazione è riuscita a sviluppare una strategia
aggressiva e invasiva, frutto di una egemonia sul territorio che le
permette di infiltrarsi in modo profondo ed efficace nell’economia e
nelle istituzioni”.
Il primo e principale problema è
comprendere come e perché si è arrivati a questa situazione. Scrivono in
proposito: “Questo libro nasce dal desiderio di capire, per far capire”.
Un libro-documento, dunque, per conoscere e
per capire, per permettere a tutti di cogliere in pieno l'essenza del fenomeno criminale calabrese, in tutta la sua terribile verità. Una terribile mistura di violenza, sopraffazione e illegalità troppo sottovalutata per anni.
Per “capire” e “far capire”, Gratteri e
Nicaso vanno diritti al cuore del problema descrivendo la storia,
l’ossatura, i metodi, le famiglie, le alleanze, le connivenze, i
traffici della ‘ndrangheta calabrese.
Come una sorta di serpente viscido e
strisciante, di cui neanche ci si accorge, ora in modo scoperto o
spettacolare, pervasiva come una malattia infettiva, va doverosamente
detto che la ‘ndrangheta si è insinuata in tutti i settori della vita
calabrese: massoneria, politica, società, università (e si potrebbe
aggiungere nelle menti dei calabresi).
Affermano gli autori: “…rafforzandosi nel
silenzio, insinuandosi nelle logge massoniche, nel sistema economico e
corrompendo la politica, come neanche la mafia siciliana era riuscita a
fare, la mafia delle ‘ndrine ha ormai soppiantato Cosa Nostra”.
Al riguardo gli autori riportano un pesante passaggio della relazione
parlamentare antimafia risalente al 2003, in cui i
commissari affermano: “Storicamente
la mafia calabrese è stata sottovalutata e sottostimata, e per lungo
tempo non è stata adeguatamente studiata ed analizzata.
Senza stare a discutere su
di chi sia la colpa, può aiutare a risolvere il problema senz'altro farlo emergere.
Reggio Calabria, uno dei posti più belli
d’Europa, è purtroppo tristemente famosa per essere l’epicentro di
questo cancro. Una città reale, “regno” della ‘ndrangheta, con una lunga
lista di nomi e luoghi veri che sono oggetto di investigazioni. “La
forza della ‘ndrangheta nella provincia di Reggio Calabria – scrivono
gli autori − è confermata dai numeri: decine di “locali” con un esercito
di 7.358 presunti affiliati, tra cui 255 donne, pari al 3% del totale”.
La presenza di donne non costituisce un
fenomeno di per sé nuovo. Già in Cosa Nostra la loro cooperazione era
fondamentale per la sopravvivenza dell’organizzazione. C'è però
una situazione di imparità perché in verità il loro ruolo è quasi sempre
marginale. La conferma di una simile tesi sembra giungere, come dimostra
il libro, dal codice sequestrato dalla Squadra Mobile di
Reggio Calabria e dalla Criminalpol calabrese nel giugno del 1987 nel
covo di un superlatitante, nel quale è scritto che nella
‘ndrangheta calabrese “la donna è sottomessa alle
decisioni della ‘famiglia’, anche se essa non potrà mai essere
un’affiliata”.
“Con il passare degli anni – è scritto nel codice – il suo ruolo è
cambiato in quanto è divenuta meno remissiva, certo non sarà mai
partecipe delle situazioni di ‘ndrangheta, ma è diventata la confidente
del proprio uomo e pertanto custodisce taluni segreti a lui utili”.
Andando al cuore del problema, una realtà
amara da digerire e dura da accettare per i calabresi concerne il fatto
che questa organizzazione così potente, così crudele e cruenta ha il suo
cuore proprio in Calabria.
Questa verità fa sì che vecchie etichette
non siano affatto sparite ma si siano, a scapito dei
tanti calabresi onesti, circoscritte. Se l’equazione Italia=pizza=maccheroni può
forse anche far sorridere, non vale per il binomio Italia-Mafia, ora
confluito nell’etichetta Calabria-Mafia. Basta scorrere alcuni titoli di
giornali all’estero, poco lusinghieri, per rendersi conto dell’abisso
morale e sociale in cui è sprofondata una delle più belle regioni
d’Europa.
“Nella zona di Reggio Calabria – precisano
gli autori − quasi tutti i ‘locali’ dispongono di armi e di uomini
pronti ad usarle. Le attività più redditizie continuano ad essere il
traffico di droga, il commercio di armi, lo smaltimento dei rifiuti
tossici e nocivi, il racket delle estorsioni e le infiltrazioni nei vari
settori dell’economia legale”.
Senza sottovalutare, niente affatto, le
altre province calabresi. La ‘ndrangheta – com’è spiegato in Fratelli
di sangue − prese inizialmente piede nella provincia di Reggio
Calabria nella seconda metà dell’Ottocento, ma dagli anni Sessanta si è
espansa in tutte le province della Calabria, anche laddove prima era del
tutto assente”.
La vocazione
inizialmente agropastorale, tratto distintivo che l’accomuna
a Cosa Nostra, ha fatto sì che si sviluppasse senza troppo attirare i
mass media e la repressione poliziesca e giudiziaria. Obiettivo che ha
raggiunto grazie soprattutto all’impenetrabilità, all’affiliazione e
all’omertà, che sono le prerogative di fondo su cui si basa l’intera
organizzazione mafiosa.
Ciò ha rappresentato una difficoltà per
comprenderne la struttura, il funzionamento e i relativi progetti
criminosi. Difficoltà che le ha garantito una lunga e prospera
sopravvivenza.
Fattori che hanno
contribuito allo sviluppo dell’organizzazione: la morfologia del
territorio; una storia caratterizzata da frequenti invasioni e quindi da
atteggiamenti di chiusura e diffidenza nei confronti delle infiltrazioni
esterne; un sistema relazionale in cui prevale il clan familiare;
livelli perduranti elevati di fame, miseria e disoccupazione.
Il vincolo di
sangue, com’è messo in evidenza dagli autori, è il distintivo di
base dei gruppi mafiosi calabresi. Il vincolo di sangue, scrivono,
“tende ad imporsi su ogni altro tipo di relazione, e col tempo avvolge
in modo sempre più vincolante tutti i membri del gruppo criminale, data
la pratica sempre più diffusa dei matrimoni interni ai gruppi mafiosi −
una vera e propria “endogamia di ceto” − che caratterizza soprattutto la
mafia di Reggio Calabria e la rende sempre più chiusa alle influenze ed
ai contatti con la società legale”.
'Ndrangheta, un termine
intessuto di sangue, violenza, brutalità, almeno etimologicamente, com’è
spiegato nel libro, potrebbe derivare da andraghatos, sostantivo
greco che indicava l’uomo coraggioso, valente.
Nel periodo della Magna Grecia individui valenti e coraggiosi avevano,
infatti, dato vita alle cosiddette hetairiai, associazioni segrete
formate da cittadini appunto valenti e coraggiosi che per conseguire i
loro scopi usavano però l’intimidazione e la minaccia fisica.
Secondo un’altra etimologia potrebbe derivare dal toponimo
Andragathia Regio che in un documento cartografico risalente al 1595
designava una vasta area del Regno di Napoli, comprendente Calabria e
Basilicata.
Documenti storici, riportati nel libro, individuano l’origine della
criminalità calabrese nella metà dell’Ottocento. Nel luglio del 1861 le
carceri di Reggio Calabria erano infestate di camorristi.
L’influenza della camorra è sostenuta anche dal fatto che, inizialmente,
i soldati della ‘ndrangheta erano chiamati per l’appunto camorristi. La
camorra a sua volta avrebbe tratto spunto dalla Garduna,
un’associazione fondata a Toledo intorno al 1417.
Un’altra ipotesi indica l’influenza di Cosa Nostra siciliana, ipotesi
avvalorata dal fatto che l’organizzazione stessa era conosciuta sotto il
nome di “onorata società”.
Nata, dunque, a metà dell’Ottocento, la
‘ndrangheta si afferma nei successivi anni Cinquanta e Sessanta anche per gli scarsi
appoggi alla repressione da parte dello Stato e si impone in tutta la
regione.
La ‘ndrangheta oggi è ben
radicata in tutte le cinque province calabresi: Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Vibo
Valentia; nel resto d’Italia è penetrata via via seguendo i flussi
migratori dei calabresi onesti e laboriosi ed è attualmente presente in
15 regioni (Piemonte, Lombardia, Valle d’Aosta, Liguria, Trentino Alto
Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria,
Marche, Lazio, Abruzzo e Molise, Puglia, Basilicata, Sicilia) ed ha
collegamenti con realtà criminali di altre tre.
Non continua solo a dominare lo scenario
calabrese, ma ha intessuto rapporti con organizzazioni di altri
continenti. Il suo “regno” include l’Australia, l’America, l’Europa,
l’Africa.
La mafia calabrese ha superato – come
spiegano Gratteri e Nicaso − Cosa Nostra siciliana divenendo regina
mondiale incontrastata del traffico di cocaina dal Sud America verso
l’Europa.
In una conversazione intercettata nel 1996
– scrivono gli autori nelle Conclusioni − un esponente di
una cosca ha sintetizzato efficacemente la forza di questa
organizzazione criminale: “Abbiamo il passato, il presente ed il
futuro”, ha detto.
“Non esagerava − affermano Gratteri e Nicaso
−, almeno sul passato e sul
presente. Nel futuro, per cambiare le cose, c’è bisogno di fatti
concreti, di iniziative coraggiose, di svolte radicali. Nella società,
nella mentalità della gente, nell’impegno della classe politica. La
voglia di riscatto, soprattutto, quella delle nuove generazioni, non
manca”.
Cfr. ivi, p. 167, p. 183.
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