Francesca Caputo

Recensione a "Fratelli di sangue"

(16/06/2007)

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Fratelli di sangue. La 'ndrangheta tra arretratezza e modernità: da mafia agropastorale a holding del crimine

di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

Nota introduttiva di Luigi M. Lombardi Satriani,
Collana: Mafie, diretta da Antonio Nicaso,
Pellegrini Editore, Cosenza 1a ed. dicembre 2006,

2a/3a/4a ed.gennaio 2007, 5a/6a ed. febbraio 2007

pagine 319, € 20,00

 

 

 

Recensione a "Fratelli di sangue"

Per una Calabria libera dalla 'ndrangheta

 

di Francesca Caputo

 

Cosa Nostra  − famosa da quando Mario Puzo, newyorkese di origini siciliane, scrisse “Il padrino” nel 1969 − non è ormai l’organizzazione criminale numero uno in Italia.

Nel dicembre 2006 esce, per Pellegrini Editore, nella collana Mafie, il libro “Fratelli di sangue”, scritto da Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, che in poco tempo diventa un grande successo editoriale, attualmente alla sesta edizione.

Il libro si propone come un’autorevole sintesi delle conoscenze attuali nel merito del fenomeno criminale calabrese. La verità stampata nera su carta è agghiacciante: la ‘ndrangheta calabrese si è trasformata nell’associazione criminale più potente e feroce del Paese, con ramificazioni internazionali che includono forti rapporti coi cartelli di droga colombiani[1] .

Questo lavoro rappresenta il frutto dell’interazione fra due specialisti che possiedono rigorose conoscenze nell’ambito del settore di studio del crimine organizzato: l’uno con una esperienza maturata nell’ambito del contrasto al crimine organizzato; l’altro con una formazione specialistica in antropologia e sociologia criminale.

Nicola Gratteri è un magistrato in prima linea nella lotta contro la mafia. Sostituto Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, è uomo di punta della direzione antimafia di questa bella ma pericolosissima città, costretto a vivere, a causa del lavoro che svolge, blindato e sotto scorta. La ‘ndrangheta, anche di recente, aveva progettato contro di lui un attentato. Stimato e apprezzato in tutto il mondo, scrive con la lucidità ed il trasporto di chi dirige pesantissime indagini contro la ‘ndrangheta in diversi paesi europei e d’oltreoceano, operazioni investigative riportate dai giornali di tutto il mondo.

Antonio Nicaso, canadese di origine calabrese, giornalista, scrittore, professore universitario, è fra i maggiori esperti mondiali nel settore di studio del crimine organizzato. Ha pubblicato decine di libri su aspetti di questo problema in Italia e nel mondo, tra cui Rocco Perri: The Story of Canada's Most Notorius Bootlegger; Io e la mafia: le verità di Giulio Andreotti; e, insieme al giornalista e scrittore Lee Lamothe, diversi lavori, tra cui Bloodlines: The Rise and Fall of the Mafia's Royal Family (in Francia: Les liens du sang) e Global Mafia: the new world order of organized crime, tradotto in francese, indonesiano e olandese.

L’opera di Gratteri e Nicaso, oltre a configurarsi come occasione per attingere a documenti investigativi, atti giudiziari e relazioni parlamentari, che fanno luce sui percorsi criminali della ‘ndrangheta calabrese dalle sue origini ad oggi, risultando molto utile anche per gli specialisti, ha il merito di riportare l’attenzione alla lotta contro la mafia.

La lotta contro la mafia è un terreno essenziale per l'educazione alla legalità. Per diffondere, soprattutto tra i più giovani, una cultura della legalità e far maturare coscienza civica critica e partecipata, la linea scelta dagli autori è quella di immergere il lettore nella verità documentata dei fatti.

Lo stile, di vero e genuino taglio giornalistico e documentario, basato, tra l'altro, su inchieste poliziesche, non si colloca tra il fittizio e il fattuale come nel “Padrino” di Puzo, ma si riporta strettamente alla realtà fattuale con riferimento alle fonti incontrovertibili di quanto viene esposto.

Il libro riporta testimonianze e fatti che colpiscono allo stomaco il lettore, soprattutto il lettore calabrese.

La terribile verità, radiografata da cima a piedi dagli autorevoli autori (confermata da diverse relazioni del Ministero dell’Interno italiano, della Commissione parlamentare antimafia fino al Parlamento europeo e dalla stampa specializzata di tutto il mondo), è che la ‘ndrangheta calabrese ha preso piede in modo colossale (e, per ciò stesso, è lecito che scateni un'estrema preoccupazione), trasformandosi nel giro di un decennio in una holding del crimine che gestisce tonnellate di cocaina in tutto il mondo[2].

La Commissione d’inchiesta sulla droga e sul crimine organizzato del Parlamento europeo l’ha definita «l’organizzazione più segreta e sanguinaria», mettendo in evidenza il processo di estensione dei suoi traffici in tutta Europa e nel resto del mondo. Ci troviamo improvvisamente − ma neppure troppo improvvisamente − di fronte ad un problema di dimensioni mondiali, anche se il centro di gestione e comando è in una delle regioni italiane socialmente ed economicamente più deboli.

Gratteri e Nicaso descrivono nei dettagli l’escalation di questa fortissima organizzazione criminale ed il suo ruolo di supremazia rispetto a Cosa Nostra, denunciando la sottovalutazione di un problema divenuto una drammatica emergenza del nostro Paese[3].

La Calabria sta sfuggendo al controllo della legalità, nel senso che il fenomeno ‘ndrangheta ha creato ormai in essa la sua “legalità”, il suo Stato. 

“In Calabria, − come spiegano gli autori − questa potente organizzazione è riuscita a sviluppare una strategia aggressiva e invasiva, frutto di una egemonia sul territorio che le permette di infiltrarsi in modo profondo ed efficace nell’economia e nelle istituzioni”[4].

Il primo e principale problema è comprendere come e perché si è arrivati a questa situazione. Scrivono in proposito: “Questo libro nasce dal desiderio di capire, per far capire”[5].

Un libro-documento, dunque, per conoscere e per capire, per permettere a tutti di cogliere in pieno l'essenza del fenomeno criminale calabrese, in tutta la sua terribile verità. Una terribile mistura di violenza, sopraffazione e illegalità troppo sottovalutata per anni.

Per “capire” e “far capire”, Gratteri e Nicaso vanno diritti al cuore del problema descrivendo la storia, l’ossatura, i metodi, le famiglie, le alleanze, le connivenze, i traffici della ‘ndrangheta calabrese.

Come una sorta di serpente viscido e strisciante, di cui neanche ci si accorge, ora in modo scoperto o spettacolare, pervasiva come una malattia infettiva, va doverosamente detto che la ‘ndrangheta si è insinuata in tutti i settori della vita calabrese: massoneria, politica, società, università (e si potrebbe aggiungere nelle menti dei calabresi).

Affermano gli autori: “…rafforzandosi nel silenzio, insinuandosi nelle logge massoniche, nel sistema economico e corrompendo la politica, come neanche la mafia siciliana era riuscita a fare, la mafia delle ‘ndrine ha ormai soppiantato Cosa Nostra”[6].

Al riguardo gli autori riportano un pesante passaggio della relazione parlamentare antimafia risalente al 2003, in cui i commissari affermano: “Storicamente la mafia calabrese è stata sottovalutata e sottostimata, e per lungo tempo non è stata adeguatamente studiata ed analizzata[7].

Senza stare a discutere su di chi sia la colpa, può aiutare a risolvere il problema senz'altro farlo emergere.

Reggio Calabria, uno dei posti più belli d’Europa, è purtroppo tristemente famosa per essere l’epicentro di questo cancro. Una città reale, “regno” della ‘ndrangheta, con una lunga lista di nomi e luoghi veri che sono oggetto di investigazioni. “La forza della ‘ndrangheta nella provincia di Reggio Calabria – scrivono gli autori − è confermata dai numeri: decine di “locali” con un esercito di 7.358 presunti affiliati, tra cui 255 donne, pari al 3% del totale”[8].

La presenza di donne non costituisce un fenomeno di per sé nuovo. Già in Cosa Nostra la loro cooperazione era fondamentale per la sopravvivenza dell’organizzazione. C'è però una situazione di imparità perché in verità il loro ruolo è quasi sempre marginale. La conferma di una simile tesi sembra giungere, come dimostra il libro, dal codice sequestrato dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria e dalla Criminalpol calabrese nel giugno del 1987 nel covo di un superlatitante, nel quale è scritto che nella ‘ndrangheta calabrese “la donna è sottomessa alle decisioni della ‘famiglia’, anche se essa non potrà mai essere un’affiliata”[9]. “Con il passare degli anni – è scritto nel codice –  il suo ruolo è cambiato in quanto è divenuta meno remissiva, certo non sarà mai partecipe delle situazioni di ‘ndrangheta, ma è diventata la confidente del proprio uomo e pertanto custodisce taluni segreti a lui utili”[10].

Andando al cuore del problema, una realtà amara da digerire e dura da accettare per i calabresi concerne il fatto che questa organizzazione così potente, così crudele e cruenta ha il suo cuore proprio in Calabria.

Questa verità fa sì che vecchie etichette non siano affatto sparite ma si siano, a scapito dei tanti calabresi onesti, circoscritte. Se l’equazione Italia=pizza=maccheroni può forse anche far sorridere, non vale per il binomio Italia-Mafia, ora confluito nell’etichetta Calabria-Mafia. Basta scorrere alcuni titoli di giornali all’estero, poco lusinghieri, per rendersi conto dell’abisso morale e sociale in cui è sprofondata una delle più belle regioni d’Europa.

“Nella zona di Reggio Calabria – precisano gli autori − quasi tutti i ‘locali’ dispongono di armi e di uomini pronti ad usarle. Le attività più redditizie continuano ad essere il traffico di droga, il commercio di armi, lo smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi, il racket delle estorsioni e le infiltrazioni nei vari settori dell’economia legale”[11].

Senza sottovalutare, niente affatto, le altre province calabresi. La ‘ndrangheta – com’è spiegato in Fratelli di sangue − prese inizialmente piede nella provincia di Reggio Calabria nella seconda metà dell’Ottocento, ma dagli anni Sessanta si è espansa in tutte le province della Calabria, anche laddove prima era del tutto assente”[12].

La vocazione inizialmente agropastorale, tratto distintivo che l’accomuna a Cosa Nostra, ha fatto sì che si sviluppasse senza troppo attirare i mass media e la repressione poliziesca e giudiziaria. Obiettivo che ha raggiunto grazie soprattutto all’impenetrabilità, all’affiliazione e all’omertà, che sono le prerogative di fondo su cui si basa l’intera organizzazione mafiosa.

Ciò ha rappresentato una difficoltà per comprenderne la struttura, il funzionamento e i relativi progetti criminosi. Difficoltà che le ha garantito una lunga e prospera sopravvivenza.

Fattori che hanno contribuito allo sviluppo dell’organizzazione: la morfologia del territorio; una storia caratterizzata da frequenti invasioni e quindi da atteggiamenti di chiusura e diffidenza nei confronti delle infiltrazioni esterne; un sistema relazionale in cui prevale il clan familiare; livelli perduranti elevati di fame, miseria e disoccupazione.

Il vincolo di sangue, com’è messo in evidenza dagli autori, è il distintivo di base dei gruppi mafiosi calabresi. Il vincolo di sangue, scrivono, “tende ad imporsi su ogni altro tipo di relazione, e col tempo avvolge in modo sempre più vincolante tutti i membri del gruppo criminale, data la pratica sempre più diffusa dei matrimoni interni ai gruppi mafiosi − una vera e propria “endogamia di ceto” − che caratterizza soprattutto la mafia di Reggio Calabria e la rende sempre più chiusa alle influenze ed ai contatti con la società legale”[13].

'Ndrangheta, un termine intessuto di sangue, violenza, brutalità, almeno etimologicamente, com’è spiegato nel libro, potrebbe derivare da andraghatos, sostantivo greco che indicava l’uomo coraggioso, valente[14]. Nel periodo della Magna Grecia individui valenti e coraggiosi avevano, infatti, dato vita alle cosiddette hetairiai, associazioni segrete formate da cittadini appunto valenti e coraggiosi che per conseguire i loro scopi usavano però l’intimidazione e la minaccia fisica[15]. Secondo un’altra etimologia potrebbe derivare dal toponimo Andragathia Regio che in un documento cartografico risalente al 1595 designava una vasta area del Regno di Napoli, comprendente Calabria e Basilicata[16].

Documenti storici, riportati nel libro, individuano l’origine della criminalità calabrese nella metà dell’Ottocento. Nel luglio del 1861 le carceri di Reggio Calabria erano infestate di camorristi[17]. L’influenza della camorra è sostenuta anche dal fatto che, inizialmente, i soldati della ‘ndrangheta erano chiamati per l’appunto camorristi. La camorra a sua volta avrebbe tratto spunto dalla Garduna, un’associazione fondata a Toledo intorno al 1417[18]. Un’altra ipotesi indica l’influenza di Cosa Nostra siciliana, ipotesi avvalorata dal fatto che l’organizzazione stessa era conosciuta sotto il nome di “onorata società”.

Nata, dunque, a metà dell’Ottocento, la ‘ndrangheta si afferma nei successivi anni Cinquanta e Sessanta anche per gli scarsi appoggi alla repressione da parte dello Stato e si impone in tutta la regione.

La ‘ndrangheta oggi è ben radicata in tutte le cinque province calabresi: Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Vibo Valentia; nel resto d’Italia è penetrata via via seguendo i flussi migratori dei calabresi onesti e laboriosi ed è attualmente presente in 15 regioni (Piemonte, Lombardia, Valle d’Aosta, Liguria, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Molise, Puglia, Basilicata, Sicilia) ed ha collegamenti con realtà criminali di altre tre[19].

Non continua solo a dominare lo scenario calabrese, ma ha intessuto rapporti con organizzazioni di altri continenti. Il suo “regno” include l’Australia, l’America, l’Europa, l’Africa[20].

La mafia calabrese ha superato – come spiegano Gratteri e Nicaso − Cosa Nostra siciliana divenendo regina mondiale incontrastata del traffico di cocaina dal Sud America verso l’Europa[21].

In una conversazione intercettata nel 1996 – scrivono gli autori nelle Conclusioni un esponente di una cosca ha sintetizzato efficacemente la forza di questa organizzazione criminale: “Abbiamo il passato, il presente ed il futuro”, ha detto[22].

“Non esagerava − affermano Gratteri e Nicaso −, almeno sul passato e sul presente. Nel futuro, per cambiare le cose, c’è bisogno di fatti concreti, di iniziative coraggiose, di svolte radicali. Nella società, nella mentalità della gente, nell’impegno della classe politica. La voglia di riscatto, soprattutto, quella delle nuove generazioni, non manca”[23].

 


 

[1] Cfr. Nicola Gratteri, Antonio Nicaso, Fratelli di sangue. La ‘ndrangheta tra arretratezza e modernità: da mafia-agropastorale a holding del crimine, Pellegrini, Cosenza, 1a ed.  dicembre 2006 – 2a/ 3a/ 4a edizione gennaio 2007, 5a e 6a ed. febbraio 2007, p. 13

[2] Cfr. ivi, p. 15.

[3] Cfr. ivi, p.13.

[4] Ivi, p. 13.

[5]  Ibidem.

[6]  Ivi, p. 15.

[7] Ivi, p. 211.

[8] Ivi, p. 99.

[9] Ivi, p. 266.

[10] Ibidem. Al riguardo la Commissione Parlamentare antimafia nel 2003 ha scritto: “Le più recenti indagini hanno evidenziato che le donne vigilano sull’andamento delle estorsioni, riscuotono le tangenti, sono intestatarie di beni appartenenti al sodalizio, forniscono supporto logistico nelle azioni criminali compiute da membri del clan, curano i rapporti con i latitanti e con l’esterno del carcere; funzione delicatissima che permette ai capimafia di essere costantemente informati e quindi di intervenire in tempo reale per mantenere il controllo della situazione” (XIV LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI – DOCUMENTI, Criminalità organizzata mafiosa e territorio: regioni tradizionalmente e non tradizionalmente afflitte dal fenomeno, 1.2 Situazione attuale, p. 29).

[11] Ivi, p.100.

[12] Ivi, p.167.

[13] Ivi, p. 70.

[14] Cfr. ivi, p. 21.

[15] Cfr. ibidem.

[16] Cfr. ibidem.

[17] Cfr. ibidem.

[18] Cfr. ibidem.

[19] Cfr. ivi, p. 167, p. 183.

[20] Cfr. ivi, pp. 203-216.

[21] Cfr. ivi, p. 217.

[22] Cfr. ivi, p. 218.

[23] Ivi, p. 218.

 

Francesca Caputo, Recensione a "Fratelli di sangue" - Per una Calabria libera dalla 'ndrangheta, "Topologik.net", Collana di Studi Internazionali di Scienze Filosofiche e Pedagogiche, ISSN: 1828-5929, Sezione "Recensioni Libri", 16/06/2007, pp. 1-6.