TOPOLOGIK.net ISSN 1828-5929 2008, nº 3 |
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Debito e famiglia Luciano Corradini Fra le questioni apparentemente mini, ossia, secondo molti interlocutori, appartenenti ad altro capitolo di discorsi e d’interessi, c’è quella del debito pubblico, che costa 70 miliardi l’anno e che grava su tutti, su tutte le famiglie, in particolare sui giovani, come categoria e come singoli. Non mancano le rituali citazioni del debito, sulla stampa e nei dibattiti, ma lo si fa di solito per incolpare chi lo ha fatto, non per dare alla questione dignità di voce fondamentale da tenere sempre sott’occhio e da curare con informazioni e con politiche capaci di mobilitare le coscienze a tutti i livelli e di ridurne la portata devastante e distorcente per il nostro Paese, nel confronto con altri paesi anche europei. Giornali, telegiornali e politici fanno a gara a ritenere buone notizie quelle che riguardano l’aumento degli stipendi, la diminuzione delle tasse, la diminuzione dei prezzi e dei tassi, ma non la diminuzione del debito: chi ne parla, sembra che porti jella, perché il debito è trattato come un buco nero di cui è meglio non parlare, come della morte. Dice un detto popolare che a pagare i debiti e a morire si è sempre a tempo. Non importa se in tal modo si fa morire qualche altro, qualche famiglia o qualche dose di speranza nel futuro. Ci sono campagne e raccolte fondi contro le malattie, con commoventi gare di solidarietà: ma che il debito sia un male curabile, col contributo di tutti, sembra una bestemmia. Lo stato è per definizione cattivo e sprecone. E chi darebbe soldi al nemico? Come sanno i pochi navigatori interessati al problema, per dargli evidenza, per sensibilizzare la pubblica opinione e per riunire idee e forze scientifiche, sociali, politiche e amministrative, è nata nel 1993 l’ARDeP, associazione per la riduzione del debito pubblico. Dopo una prima stagione di interesse per lo strano fenomeno costituito da qualche cittadino che osava fare il “volontario fiscale”, si spensero le luci. I giornali, con la lodevole eccezione di Avvenire, hanno censurato le lettere che davano in proposito qualche informazione, collegandosi col dibattito sulle tasse e sulla minaccia di rivolta fiscale. Da parte dei politici e degli economisti, silenzio assordante. Alla fine un giornalista del Sole 24 Ore ha avuto il coraggio di parlarne, il 3 novembre, dicendo che “per una volta una non notizia poteva diventare una notizia”. La non notizia è che esiste un “Fondo per l’ammortamento dei titoli di stato”, abilitato a ricevere le donazioni dei cittadini, e che a quel fondo sono stati “donati” una cinquantina di milioni di vecchie lire. Aggiungeva il giornalista Dino Pesole che il giorno 6 novembre il direttivo dell’ARDeP sarebbe stato ricevuto dal Presidente del Consiglio, per un colloquio sul tema del debito, e che gli avrebbe consegnato la ricevuta di un versamento di 1000 euro a detto Fondo. La richiesta che effettivamente ha accompagnato questo gesto riguarda la trasformazione di questo fondo, dal nome oscuro, in “Fondo per la riduzione del debito pubblico”: questo allo scopo di renderlo visibile e comprensibile anche a i non esperti di bilancio dello stato. Una seconda richiesta è quella di far presiedere il Fondo da persona autorevole e nota, capace di gestirlo in modo sia manageriale, sia partecipato. Ogni euro che va in quel Fondo, è infatti un debito di meno per tutti noi. Prodi si è detto d’accordo. Dunque non basta chiedere soldi ad un Tesoro, che è l’altro nome del meno simpatico Fisco (che però in latino significa “cesto” ); bisogna anche darsi da fare per ridurre i titoli dell’indebitamento, ossia le “cambiali” che costano interessi e che pesano, e rendere in tal modo il fisco più umano e il tesoro più generoso. Dire che bisogna pagare le tasse, è necessario: e c’è da rallegrarsi per i recenti richiami del Papa e di Famiglia Cristiana, ma questo non è sufficiente ad imboccare sul serio la strada della lotta al debito. Se la nave imbarca acqua, non mi basta aver pagato il biglietto. Se il Fondo sarà visibile, e se saranno pubblicizzate le azioni che riducono il debito, si potrà aprire una gara di solidarietà, e qualcuno potrà sentirsi partecipe attivo del risanamento, magari scaricando dalla coscienza un po’ del peso per i privilegi ingiustamente goduti. Non c’è solo la sussidiarietà che va dall’alto verso il basso (per intenderci quella dell’art. 118 della Costituzione), come sostiene Diotallevi, ma anche quella che va dal basso verso l’alto. Se la Lupa capitolina è spelacchiata e non dà latte, va bene picchiarla, come fanno giornalisti valorosi, che guadagnano una fortuna denunciando le malefatte dei politici e dei pubblici profittatori (e un po’ meno dei privati evasori), ma tocca anche ai Gemelli fondatori di Roma, che dovrebbero essere un poco cresciuti, darsi da fare per mantenerla in vita.
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2008, n°3 |